A.C. 1665
Signora Presidente, colleghe e colleghi, mi risulta difficile intervenire dopo lo scempio che si è consumato in questo Parlamento in cui i regolamenti e la democrazia pare che vengano messi sotto i piedi. Comunque, oggi siamo chiamati a discutere della proposta di autonomia differenziata voluta dal Ministro Calderoli ma foraggiata, non senza perplessità, da tutte le forze di maggioranza. È una proposta che non piace a nessuno, Ministro, se non ai leghisti della prima ora e che persino la Meloni accoglie con un certo imbarazzo, visibile anche dal numero dei deputati presenti in Parlamento, in aula. Oggi, e da mesi, si dice tanto e di più e in qualche modo non solo non piace a voi, ad alcuni della vostra maggioranza, ma non piace neanche a Confindustria, non piace alle imprese del Nord e neppure alla nostra Costituzione che dedica ai principi di uguaglianza, perequazione e sussidiarietà tra le regioni buona parte del suo testo, con il chiaro intento di rendere chiaro come siano fondamentali e imprescindibili ma che in questo provvedimento sono completamente assenti. In verità, colleghi, basterebbe un po'di buonsenso per accorgersi del fatto che le risorse economiche e le capacità amministrative delle singole regioni non sono uniformemente distribuite sul territorio nazionale ed è per questa ragione che concedere maggiori poteri ad alcune regioni potrebbe esacerbare le disuguaglianze esistenti. Ma questa è solo la punta dell'iceberg.
Questa proposta rischia, infatti, di frammentare il nostro Paese riportandoci indietro nel tempo, ai giorni degli staterelli preunitari e delle dominazioni straniere o, forse, ancora più indietro, ai tempi dell'Impero romano, durante il quale ai cittadini erano ricondotti status diversi a seconda del luogo in cui nascevano. C'erano infatti i cives, i Latini e i semplici conquistati e ognuno di questi vantava diritti diversi in ragione della categoria in cui erano inseriti. L'obiettivo è trasferire la competenza dello Stato alle singole regioni su 23 materie cruciali, come se le competenze da affidare alle regioni possano essere scelte da un menu alla carta, in barba a qualunque progettualità e all'effettiva disponibilità per le singole regioni di mezzi adeguati e sufficienti a farsi carico di queste competenze ma anche contro qualunque principio di omogeneità dei servizi messi a disposizione nell'intero territorio della Repubblica. È evidente come questa azione costituisca un vero e proprio attacco cinico e spregiudicato alla coesione nazionale e alla capacità di affrontare le sfide contemporanee con una visione comune. È infatti chiaro a tutti che problemi come il cambiamento climatico, la crisi migratoria, la pandemia, la sanità in generale e le guerre richiedano una risposta coordinata e solidale a livello nazionale e internazionale. L'assenza di una risposta congiunta è molto penalizzante e lo stiamo vedendo nell'esigua forza negoziale che, a causa di politiche troppo eterogenee, l'Europa sta dimostrando nel complesso contesto storico in cui ci troviamo. Ora provate a immaginare cosa potrebbe succedere se la sola Italia, in situazioni come queste, potesse scegliere di utilizzare 20 approcci diversi. L'autonomia differenziata annullerebbe del tutto la capacità del nostro Paese di affrontare queste sfide in modo efficace e coordinato. Materie fondamentali come istruzione, ambiente, sanità e infrastrutture, che comprendono elementi vitali per il tessuto sociale, economico e culturale della nostra Nazione, potrebbero risultare gestite in modo frammentato e disomogeneo, privando il Paese di una prospettiva nazionale e sovranazionale essenziale per affrontare la complessità dei problemi contemporanei. Tuttavia, l'autonomia differenziata non minaccia solo l'unità nazionale e va ben oltre la mera distribuzione di competenze. Si tratta di una minaccia per i diritti dei cittadini e delle persone, non è solo la chiara secessione dei ricchi, come alcuni hanno suggerito, ma una guerra tra poveri che rischia di emarginare ancora di più il Mezzogiorno e le aree interne del Centro Sud e del Centro Nord. Inoltre, sorgono dubbi riguardo ai metodi scelti per la determinazione dei livelli essenziali di prestazione, i famosi LEP. La mancanza di una distinzione chiara tra le materie oggetto dei LEP e quelle che non lo sono, unita alla loro definizione tramite i DPCM da voi tanto criticati, solleva preoccupazioni non indifferenti. La determinazione dei LEP dovrebbe essere prerogativa esclusiva dello Stato e non può essere lasciata al mero arbitrio del Governo di turno. Peraltro, la scelta dei DPCM come unico mezzo utile per la definizione dei LEP, è un altro motivo di preoccupazione oltre che un pericolosissimo potenziale vettore di abusi di potere. È un approccio, questo, che esclude il Parlamento dalla maggior parte delle decisioni, relegando quest'ultimo a una sorta di ping pong tra il Governo e le singole regioni e costringendo il Parlamento ad un ruolo marginale nel processo decisionale. Il Parlamento infatti si troverà impossibilitato ad emendare le intese e diverrà un semplice spettatore di un negoziato centralizzato nella figura del Presidente del Consiglio. La verità è che questo progetto di mortificazione del Parlamento è un progetto già avviato dalla maggioranza, tanto che, a fronte di 2.400 emendamenti proposti dalle forze di opposizione su questo disegno di legge, soltanto 70 ne sono stati esaminati. È una forzatura, signora Presidente, e noi rappresentiamo tutti gli italiani e la maggioranza deve avere rispetto di questa minoranza. Questo centralismo esasperato delegittimerebbe il ruolo delle istituzioni legislative e favorirebbe una concentrazione eccessiva di potere nel Governo centrale, con tutte le conseguenze che tutto ciò riverbererebbe sulla salute della nostra democrazia e sulla rappresentatività popolare. D'altra parte la spregiudicatezza della maggioranza nei confronti delle istituzioni democratiche e delle loro regole e la precisa volontà di ottenere sempre e comunque un risultato favorevole si leggono anche nella recente decisione del presidente della Commissione affari costituzionali di far votare nuovamente un emendamento già votato e sul quale, a causa dell'assenza dei colleghi leghisti in Commissione, la maggioranza, suo malgrado, era risultata soccombente. Questa decisione è un vero proprio a fronte alla democrazia, è un pericoloso precedente, signora Presidente, che mina l'integrità istituzionale e legislativa delle istituzioni e il Presidente Fontana l'unico monito che si è sentito di scrivere è che per la prossima volta prenderà provvedimenti. Il presidente della Commissione affari costituzionali, invece, quindi, di creare una forzatura delle regole parlamentari così plateale, avrebbe potuto o, meglio, dovuto, come richiesto dal ruolo che ricopre, concentrarsi sulle macroscopiche violazioni costituzionali che questa riforma porta con sé, ne cito alcune.
La riforma viola in modo lampante il carattere stesso del regionalismo sancito dalla nostra Carta costituzionale, come sottolineato all'articolo 2 della Costituzione. Il regionalismo, invero, deve essere solidale e non competitivo, tuttavia questa proposta promuove una competizione del tutto malsana tra le regioni, che mina l'unità nazionale e mette a rischio la coesione del nostro Paese, infrange il principio fondamentale dell'unità e indivisibilità della Repubblica, come sancito dall'articolo 5 della Costituzione. Trasferendo poteri così vasti alle singole regioni si rischia di creare divisioni e contrasti che potrebbero mettere a repentaglio l'integrità stessa della nostra Nazione. Insomma, si tenta di stabilire il primato del regionalismo competitivo, al fine di trasformare lo Stato in un mosaico di interessi regionali contrastanti.
Omette di sancire l'adozione di una legge dello Stato per l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, come prescritto dall'articolo 116 della Costituzione. Inoltre, elimina in sostanza l'intervento del Parlamento, riducendo tutto a un accordo amministrativo tra Ministero e regioni. Toglie ai cittadini il diritto di partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e di concorrere a determinare la politica nazionale, così come sancito dagli articoli 3 e 49 della Costituzione. Chiedo a voi, deputati e deputate della Repubblica, di assumere piena responsabilità e difendere le conquiste democratiche incarnate dalla nostra Costituzione. Dobbiamo difendere l'unità nazionale, nata dal Risorgimento e dalla Resistenza, e l'uguaglianza dei diritti, anche se il cammino verso i traguardi indicati dai nostri Padri costituenti è ancora lungo.
Per riassumere, signora Presidente, il modo in cui questo Governo sta affrontando il tema dell'autonomia differenziata mi lascia veramente basita. Un disegno di legge preparato senza neanche la convocazione di una Conferenza Stato-regioni, il cui testo evidenzia la volontà di relegare il Parlamento a un mero spettatore, impotente davanti alle scelte nefaste di un Governo che ha sempre disprezzato il Mezzogiorno. Si tratta della realizzazione del largamente anticipato tentativo delle destre italiane di lasciare il Sud indietro. D'altra parte, il Ministro Salvini e i suoi cari cori da stadio, avallati da tutti i suoi colleghi di partito e di coalizione, avevano anticipato da molti anni l'avversione nei nostri confronti. Invece io sono qui, fiera dal mio accento siciliano, a ricordare al Ministro Salvini e al Ministro Calderoli, il quale, oltre a questo capolavoro, aveva a suo tempo partorito anche una legge elettorale non a caso soprannominata “Porcellum”, che l'Italia è una e non si spezza. Non possiamo permettere che questo percorso venga interrotto irreversibilmente, è nostro dovere fermarci ora, finché siamo ancora in tempo. In caso contrario, la nostra battaglia continuerà, utilizzando ogni strumento messo a disposizione dalla democrazia, per difendere i principi fondamentali della nostra Repubblica.
Concludo con le parole del nostro Presidente della Repubblica, un illustre siciliano che, durante il discorso di fine anno del 2022, ha detto: “Le differenze legate ai fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese - tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne - creano ingiustizie, feriscono il diritto all'uguaglianza. Ci guida ancora la Costituzione, laddove prescrive che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli” - Ministro Calderoli - “di ordine economico e sociale che ledono i diritti delle persone, la loro piena realizzazione (…). Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive”.
Spero che queste parole riescano a guidare la vostra coscienza e la vostra azione politica e che non sia soltanto uno scambio tra Lega e Fratelli d'Italia per continuare a governare. Noi ci siamo e faremo le nostre battaglie e voi non potrete mai e poi mai limitare la nostra volontà. L'Italia è una e indivisibile. Viva l'Italia democratica, viva l'Italia antifascista.